In origine avevi il coraggio di dire la tua, la forza di sollevare pesi impossibili, la determinazione di raggiungere mete inesplorate, la sfacciataggine di superare ogni avversario, la sfrontatezza di considerarti il migliore, l’onore di gustarti l’onore, la veemenza di definire la vita, la ruvidezza di non regalare l’attenzione al superfluo, la padronanza del momento giusto, il merito di chi è, giusto.
Oggi sei molle.
Sei cresciuto in casa con la mamma, che è diventato l’unico guerriero cui far vedere chi sei.
Ti sei azzuffato con tua sorella, unico soldato a portata di battaglia.
Ti sei arrabbiato con la maestra, che invece di farti fare le flessioni ti metteva fuori dalla classe in piedi a fissare il vuoto.
Ti sei ribellato ad un prete, che ti diceva di confessarti ma tu, ribelle vero, accendevi tutte le candele con una sola moneta.
Forse hai tirato o preso un pugno nel quartiere, facendoti male la mano o la faccia.
Uno solo, se è successo, forse.
Hai iniziato a faticare seduto ad una scrivania, rompendoti le mani pigiando i tasti di una tastiera.
Hai conquistato una o più donne in un locale sotto casa, o in una vacanza fuori porta.
Non hai fatto km a piedi per conquistarti uno sguardo al mese.
Hai speso tutti i tuoi averi in un’automobile, in un computer, in un telefono senza filo tutti dell’ultimo grido, perché se fossero vecchi ce l’avresti più corto senza averlo tirato mai fuori per fare la gara a chi piscia più lontano.
Ti sei considerato un vincente perché al parco facevi più gol degli altri bambini.
Questo non crea un uomo.
Ti sei perso.
Le tue azioni non ti rendono uomo.
Ti rendono molle.
Chi ce la fa non dimentica le origini dell’uomo, del maschio, del condottiero, del ribelle.
Chi ce la fa, lotta ogni giorno contro la comodità del lusso e la precarietà di un vissuto con il vezzo di una donna.
Uomo devi scheggiarti le mani.
Devi avere male ai muscoli.
Devi guadagnarti la vita con la spada e con l’onore.
E considerare la vittoria.
Si, ogni giorno, la vittoria.
Stefano Scialpi