Smettiamo di fare i gentili come i babbuini
È oramai di moda, la gentilezza.
Ha anche l'hashtag, la #gentilezza.
C'è anche la giornata mondiale, della gentilezza!
Ci sono aziende, onlus, libri, eventi, sulla gentilezza.
Favoloso, meraviglioso, grandioso.
Wow!
A questo punto, però, ci tengo che sia trattata per bene la gentilezza, con la profondità che merita.
Ad esempio... prima di introdurre la gentilezza, viene considerata la tristezza?
E il dolore?
E la tensione?
E lo stress?
E la rabbia repressa?
Non esiste autentica gentilezza se nel profondo v'è tristezza.
Laggiù c'è una richiesta d'aiuto, che spegne la disponibilità all'altro.
È un istinto primordiale, nel quale ognuno di noi viene prima dell'altro.
Sopravvivenza.
Le persone oggi sono abili reprimende, in grado di spingere sempre più in giù le emozioni dolorose.
È innegabile ed evidente, è così.
Chi lo sa?
Chi lo nota?
Chi fa qualcosa?
Chiedere gentilezza a chi ha dentro dolorosa tristezza, equivale a spolverare con zucchero a velo una torta di sale.
La spinta al gentilismo estremo mi fa tornare alla mente il simpatico babbuino.
I babbuini riescono a percepire quando un grugnito arrabbiato è rivolto a loro.
Un grugnito arrabbiato di un babbuino gentile.
Anche l'essere umano funziona così: se indotto alla gentilezza, non può cambiare ciò che ha dentro.
Per cui, chi gli accanto, vede gentilezza ma sente la tristezza.
L'argomento è molto più profondo di come lo si racconta.
Dobbiamo ricordare i babbuini!
Ma che bravi babbuini, tutti ad inneggiare alla gentilezza!
Ops, bambini.
Come se poi fosse una novità.
La gentilezza ci colpisce da sempre.
Il diktat di mamma, che di fronte ad una possibile visita al chissà qual parente, era solita rimembrare il ricorrente "non disturbare", ha cresciuto generazioni di inconsapevoli e poco gentili disturbatori seriali.
Ergo, fai il gentile.
"Chiedi permesso, chiedi se puoi andare in bagno, se puoi avere un bicchiere d'acqua, se puoi respirare due respiri di fila... e mi raccomando, chiedi sempre con il per piacere."
Fai il gentile.
E quale emozione nutriva il comandamento di mamma che inneggiava alla gentilezza?
La vergogna.
"Se disturbi mi fai fare una brutta figura"
Raramente la gentilezza era un valore, era per di più un volere, che serviva a rimediare alla vergogna.
Anche oggi la gentilezza è diventato uno strumento.
Fai il gentile, così... L'azienda ne trae #profitto.
Altrimenti...
Fine.
Non la fine, il fine.
Fare il gentile serve per uno scopo.
Che sia rimediare alla vergogna o creare il benessere che genera profitto, poco cambia.
Il che è ok, suggerisco che conviene sottolinearne, per gentilezza, la differenza, per evidenziarne lo scopo.
Non disturbare ha uno scopo poco gratificante.
FARE il gentile.
La gentilezza, è uno stato dell'essere.
È un non comportamento, è l'esecuzione il cui mandante è lo spirito.
ESSERE gentile dovrebbe avere solo uno scopo: nutrire se stessi.
Il resto è un effetto collaterale.
Inveisci con autenticità, piuttosto che fare l'ipocrita gentile.
Ha più senso un autentico perdere il senno.
Per cui, stop al fare i gentili.
Play all'essere gentili, xché in questo modo il nostro spirito scintilla.
Ed il circolo, spontaneo, ovunque tu sia, diventa virtuoso.
A cosa serve?
Alla traccia.
Quale traccia vuoi lasciare, del tuo passaggio?
Vuoi accontentarti di una riga superficiale o di un solco nel quale seminare le migliori colture... o culture?
Sei disposto quindi a smettere di fare il gentile e ad iniziare ad essere egoisticamente gentile?